STO BENE, INSEGNO MEGLIO! COME FAVORIRE IL BENESSERE DEGLI INSEGNANTI
Tecnologia, nuove scoperte in ambito scientifico, modalità relazionali e sociali in rapido e continuo cambiamento… La nostra società è in costante evoluzione. In ogni professione “il nuovo” bussa alle porte ogni giorno. All’interno di questo panorama la scuola deve potersi rinnovare, aggiornare, confrontare, mantenendo quindi il passo con i tempi.
Gli insegnanti di oggi, diversi da quelli di una volta, devono spingersi oltre i confini che il loro “ruolo” prevede. Non basta entrare in classe e fare lezione. E’ importante che l’insegnante sappia osservare, ascoltare, includere, coinvolgere, entusiasmare i propri studenti, attraverso una modalità creativa e dinamica. In una società in divenire l’insegnante non è più visto esclusivamente come colui che trasmette conoscenze, ma come un compagno di viaggio, che facilita il processo di scoperta, considerando bisogni e interessi dell’alunno che ha di fronte, attraverso la personalizzazione del suo lavoro.
E’ possibile migliorare il rapporto tra gli insegnanti e gli alunni?
Parole chiave: incontro con l’altro! Non si può certo parlare di insegnamento prescindendo dalla relazione, strumento di lavoro per eccellenza. Ogni volta che un insegnante varca la soglia del “mondo scuola” scopre, trova e ritrova i bambini e ragazzi che la costituiscono. Attraverso l’incontro, l’insegnante entra in relazione svelando se stesso, anche quando non ne è consapevole, non solo attraverso il linguaggio verbale. Il corpo, la postura, l’abbigliamento, il tono della voce parlano di lui.
Affinché la relazione sia funzionale e di riferimento per gli studenti è importante che vengano rispettati alcuni principi della relazione (Cavalluzzi& Degli Esposti, 2018):
L’autenticità, determinata dalla capacità degli insegnanti di essere sintonizzati emotivamente con i propri alunni, attraverso l’uso dell’empatia, riconoscendo le emozioni dei più piccoli, senza dimenticare la propria individualità.
Il diritto alla soggettività, che rimanda al riconoscimento da parte dell’insegnante dell’unicità di ciascun alunno, che ha diritto ad essere imperfetto, ad avere le proprie difficoltà e i propri bisogni.
La diversità come risorsa, cercando di favorire nei propri alunni la curiosità verso il punto di vista altrui.
Lo strumento principe per raggiungere questi scopi è rappresentato dall’osservazione, che, a differenza del semplice guardare, è orientata da obiettivi specifici. Attraverso una attenta e strutturata buona analisi l’insegnante può ricevere un feedback continuo del suo operato, creando un processo ricorsivo e circolare tra se stesso e gli alunni. Osservando e auto-osservandosi l’insegnate diventa sempre più consapevole nella relazione con i propri studenti, con cui potrà intessere rapporti autentici. Alla luce di quanto scritto finora, è immaginabile la complessità del ruolo di insegnante, a cui si richiede un’attiva e continua presenza a scuola. Tuttavia, per mantenere viva la capacità di sintonizzarsi con l’alunno, affiancarlo, accompagnarlo, formarlo, rappresentando per lui un valido modello di riferimento, è fondamentale che l’insegnante mantenga un buon livello di benessere. Dunque è necessario che il docente possieda gli strumenti per riconoscere gli stati positivi e i momenti di malessere.
Cosa si intende quando parliamo di stress dell’insegnante?
Quando si vivono momenti di malessere il corpo e la mente ne risentono, sviluppando lo stress, reazione psico-fisica, che si verifica quando siamo esposti ad una situazione che percepiamo come eccessivamente complessa o difficile. Ovviamente ognuno di noi valuta in modo soggettivo l’interazione tra le richieste provenienti dall’ambiente esterno e le risorse interne di cui dispone. Lo stress si distingue in eustress, o stress positivo, quando gli stressor sono benefici, rendendo la persona più vitale, e distress, o stress negativo, quando, al contrario, gli stressor comportano una serie di conseguenze dannose per la salute psicofisica del soggetto. Per quanto riguarda lo stress dell’insegnante, l’attenzione è rivolta alle modalità di reazione e di adattamento alle molteplici attività che deve svolgere quotidianamente (Di Pietro, Rampazzo, 1997). Hans Salye, fisiologo endocrinologo, già nel 1976 parlò di Sindrome Generale di Adattamento e delle sue tre fasi:
Fase di allarme, in cui si attiva il meccanismo difensivo di attacco-fuga. In questa fase il sistema vegetativo reagisce producendo adrenalina che mobilita le riserve di energia per attivare l’organismo a fronteggiare la situazione stressante e le endorfine per sedare il dolore.
Fase di resistenza, in cui il corpo si adatta agli agenti stressanti dispendendo energia.
Fase di esaurimento, in cui l’organismo non riesce più a difendersi perché viene a mancare la normale capacità di adattamento.
Le difficoltà subentrano quando un’esposizione troppo intesa o prolungata a stimoli stressanti modifica il nostro equilibrio psico-fisico generando sintomi specifici, che possono essere raggruppati nelle seguenti quattro categorie (Benelli & La Spina, 2018):
sintomi fisici: mal di testa, mal di schiena, indigestione, tensioni muscolari, dolore allo stomaco, tachicardia, sudorazione delle mani, extrasistole, agitazione, alterazioni del sonno e dell’appetito, stanchezza, capogiri;
sintomi comportamentali: digrignare i denti, alimentazione compulsiva, più frequente assunzione di fumo o alcolici, diminuzione degli interessi, atteggiamento critico verso gli altri, comportamenti prepotenti, difficoltà a portare a termine i compiti, maggior senso di irrequietezza;
sintomi emozionali: tensione, rabbia, nervosismo, ansia, pianto frequente, infelicità, senso di impotenza, predisposizione ad agitarsi o sentirsi sconvolti
sintomi cognitivi: difficoltà nella fluidità di pensiero,fatiche nel prendere decisioni, distrazione, preoccupazione costante, perdita del senso dell’umorismo e mancanza di creatività.
Sindrome bornout. Quali sono le cause?
Quando il distress presente è associato a una professione d’aiuto che contempla un coinvolgimento relazionale, allora si parla di bornout. Nel lavoro di insegnante l’esaurimento corrisponde alla soggettiva fatica di insegnare, manifestata attraverso un distacco emotivo verso gli alunni. Quello che purtroppo accade è che il docente, inizialmente coinvolto dal proprio ruolo, si ritira professionalmente, disimpegnandosi a livello motivazionale. I fattori che influenzano lo stress dell’insegnante possono essere suddivisi in due categorie: fattori esogeni, riconducibili all’ambiente esterno, e fattori endogeni, legati alle caratteristiche personali (Di Pietro, Rampazzo, 1977; Giusti, Di Fazio, 2008). Tra i fattori esogeni è possibile riconoscere i seguenti:
Fattori legati alla vita quotidiana, in cui rientrano gli eventi critici della vita e i conflitti nelle relazioni interpersonali;
Fattori istituzionali, che riguardano le continue riforme ministeriali, la retribuzione insoddisfacente, l’innalzamento dell’obbligo formativo, e così via;
Fattori organizzativi, legati al clima che si esperisce a scuola tra i colleghi e con la dirigenza;
Fattori legati alla classe, che influiscono soprattutto in caso di alunni difficili e aule sovraffollate;
Fattori legati alla comunità, in cui oggi il docente è chiamato ad una molteplicità di ruoli come quello di educatore, assistente genitoriale, psicologo e sostituto genitore.
Tra i fattori endogeni sicuramente troviamo:
Fattori legati a personalità e atteggiamenti: le ricerche suggeriscono che gli insegnanti che sono caratterizzati da ambizione, aggressività, impazienza, desiderio di riconoscimento sociale sono più spesso esposti agli eventi stressanti;
Fattori legati alla scelta della professione: se la motivazione di svolgere questo lavoro è obbligata o determinata da fattori strumentali, l’insegnante è più vulnerabile a eventi stressanti.
Fattori legati allo stile di vita: prendersi cura del proprio corpo è fondamentale per gestire meglio eventuali pressioni.
5 regole da seguire per il benessere psico-fisico degli insegnanti
È certamente importante intervenire per favorire la prevenzione e la gestione dei livelli di tensione, attraverso micro-obiettivi (Monticone, 2015), raggiungibili con opportuni percorsi di formazione, che la terapia cognitivo-comportamentale propone:
Identificare le cause dello stress e condividere le problematiche coinvolte rilevate attraverso l’auto-osservazione e l’osservazione esterna;
Migliorare l’autostima, perché è dal dialogo con noi stessi che deriva il nostro modo di comportarci con gli altri, influenzando come si percepiscono le situazioni. Un pensiero positivo incoraggia, influenzando positivamente i propri stati emotivi e il comportamento;
Agire sulla mente per rimuovere pensieri disfunzionali, sostituendoli con quelli alternativi, più adeguati. Partendo dal presupposto che la realtà viene creata dal soggetto, dunque non sono gli eventi a provocare le reazioni dell’individuo ma il modo in cui l’individuo interpreta tali eventi, si comprende l’importanza del pensiero e la possibilità di lavorare con esso, individuando le credenze nascoste;
Migliorare la comunicazione attraverso l’assertività. Il lavoro dell’insegnante si distribuisce, infatti, su tre livelli: disciplinare, comunicativo e gestionale. L’aspetto relazionale è determinante per ogni livello, perché aiuta a osservare, ascoltare ed esprimere messaggi verbali e non verbali, riconoscere ed esprimere emozioni. Saper gestire i rapporti interpersonali favorisce il benessere quotidiano, incrementando il senso di autostima;
Agire sul corpo attraverso esercizi di rilassamento, che consentono di ridurre la tensione fisica e mentale, raggiungendo uno stato di calma.
Non è facile per un insegnante affrontare tutte le sfide quotidiane senza vacillare o senza perdere di vista il proprio benessere e trovare il tempo da dedicare a sé stesso. Per questo motivo può essere importante partecipare ad incontri di promozione del benessere volti ad aumentare la consapevolezza dei fattori protettivi e di quelli di rischio per il proprio benessere, e degli effetti, personali e lavorativi, conseguenti ad una riduzione dello stesso. L’obiettivo deve essere quello di favorire, all’interno di un clima di ascolto e condivisione, un’esperienza di riduzione del livello di stress quotidiano e dare informazioni su come agire direttamente su pensieri e comportamenti disfunzionali al proprio benessere. Insomma un tempo per sé dove acquisire alcune strategie utili ad una migliore gestione del quotidiano lavorativo e non solo.
Articolo scritto da:
Michaela Fantoni
Michaela Fantoni Psicoterapeuta, titolare del Centro Elpis, che si occupa da anni dei principali disturbi dalla prima infanzia alla terza età. Formatore in ambito scolastico e consulente su progetti educativi. Si occupa di valutazione e progetti di intervento per ADHD, DSA e plusdotazione. Responsabile equìpe n.17 ASL Varese. Si occupa dei principali disturbi e caratteristiche dell’età evolutiva. E’ docente, supervisore, membro eletto nel Consiglio Direttivo e responsabile dell’area scuola e rapporti con i soci di AIAMC.
Martina Lunghi – Laureata con il massimo dei voti in Neuropsicologia, Psicologia clinica e dello Sviluppo, presso l’Università degli Studi di Milano–Bicocca ed è iscritta all’Albo A dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia. Ha conseguito un Master in Disfunzioni cognitive e disturbi specifici dell’apprendimento e un Master in Psicologia perinatale. Attualmente è specializzanda presso la scuola quadriennale di psicoterapia cognitivo comportamentale Asipse di Milano. È socia AIAMC.
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