Verso il bullismo e oltre: il Disturbo della condotta
Il Disturbo della condotta è inserito nel DSM 5 (il Manuale Diagnostico e Statistico dell’American Psychiatric Association) tra i Disturbi da comportamento dirompente, che comprende una serie di disturbi caratterizzati da comportamenti esternalizzanti (cioè rivolti verso l’ambiente esterno).
È definito come un “pattern ripetitivo e persistente di comportamento in cui i diritti degli altri o le regole sociali sono violati”. La sua caratteristica distintiva è pertanto quella di uno stile di comportamento caratterizzato dalla tendenza a prevaricare gli altri, a non rispettare le regole, a mentire, a mettere in atto azioni che possono costituire danno o pericolo per le altre persone. Si tratta, in sostanza, della descrizione di caratteristiche che nel soggetto adulto definiremmo antisociali.
Diagnostica Disturbo Condotta
Per diagnosticare un Disturbo della condotta, sono necessari almeno tre aspetti dei seguenti negli ultimi 12 mesi:
aggressione a persone e/o animali; spesso prepotente, minaccia o intimorisce gli altri; spesso dà il via a collutazioni; ha usato un’arma che può causare seri danni (bastone, coltello, pistola, bottiglia rotta, ecc.);
è stato fisicamente crudele con le persone;
è stato fisicamente crudele con gli animali;
ha rubato affrontando direttamente la vittima (ad es. aggressione, scippo, estorsione, rapina);
ha costretto qualcuno ad attività sessuali.
I comportamenti del ragazzo con questo tipo di caratteristiche spesso non sono delle semplici “marachelle”, ma dei veri e propri reati, che possono determinare gravi conseguenze per il ragazzo stesso o per le persone coinvolte, come atti teppistici che determinano distruzione della proprietà, provocare incendi allo scopo di fare danni, frodi o furti, violazioni di domicilio.
Nel Disturbo della condotta sono inoltre precocemente presenti, già prima dei 13 anni, delle gravi violazioni di regole, come ad esempio il fatto di marinare spesso la scuola, fuggire da casa o trascorrere la notte fuori casa a dispetto della volontà dei genitori, tutti aspetti che costituiscono in molti casi la premessa per azioni ben più gravi che questi ragazzi commetteranno via via crescendo. Diverse ricerche segnalano come questo genere di disturbi rappresentino l’espressione di un disadattamento psicologico e psicosociale spesso assai esteso, in cui compaiono anche ansia e depressione nel 15-40% dei casi.
In queste problematiche, il soggetto sembra essere attratto dalla devianza, ed in tal senso “precorrere i tempi”, per cui è frequente l’uso precoce di sostanze e la messa in atto di azioni criminose (un ragazzino su tre ha fatto uso di cannabis, ha aggredito qualcuno con un’arma e quasi la metà ha commesso un furto con scasso). Sebbene questo disturbo sia tipicamente più presente nei maschi, coinvolge naturalmente anche la popolazione femminile. Mentre nei ragazzi sono più tipicamente presenti comportamenti fisicamente aggressivi, nel disturbo della condotta femminile si rivelano spesso salienti marinare la scuola e mentire, e vi è una elevata comorbidità con ansia, depressione, ADHD ed uso di sostanze. I tassi di prevalenza per questi disturbi sono alti e vanno dal 2% al 9% (addirittura 9,5% negli USA), con un picco di frequenza a 17 anni.
Tipologie di Disturbo
Sono state identificate due tipologie di disturbo: «persistente nell’arco della vita» (esordio a 3 anni, deficit neuropsicologici e patologie familiari) e «limitato all’adolescenza». Per quanto riguarda l’eziologia, vi è una compresenza tra fattori ereditari (soprattutto nel tipo persistente) e ambientali. Questi soggetti di norma non condividono solo la genetica con i loro familiari, ma anche l’ambiente psicosociale ed educativo, per cui un certo stile di comportamento viene appreso dall’ambiente – non solo i genitori, ma anche gli amici del quartiere – secondo le normali regole dell’apprendimento sociale (ad es. adulti devianti che divengono un modello deviante per i ragazzi). L’ereditarietà tra gemelli monozigoti è del 40-50%. Vi è una maggiore ereditarietà per i comportamenti fisicamente aggressivi, rispetto a furti, fughe da casa, marinare la scuola, ecc.
Molte ricerche riportano che i maltrattamenti infantili costituiscono un importante fattore di rischio per l’insorgenza di queste problematiche comportamentali, tuttavia Caspi et al. (2002) hanno riscontrato che i maltrattamenti infantili costituiscono un fattore causale nei disturbi della condotta non in tutti i soggetti, ma solo nei soggetti con alcune predisposizioni genetiche (bassa attività dei geni MAO-A, localizzati sul cromosoma X e controlla il rilascio delle MAO, responsabili del degrado metabolico di dopamina, serotonina e noradrenalina). Molte ricerche hanno anche indagato aspetti che possono suggerire come questo genere di disturbi si associ anche a quadri disfunzionali di tipo neurologico o neuropsicologico. Spesso infatti questi ragazzi mostrano deficit neuropsicologici (scarse abilità verbali, deficit esecutivi e deficit di memoria) ed un QI inferiore di 1 DS. Con l’ausilio di tecniche di neuroimmagine si osservano inoltre deficit nelle regioni coinvolte nel controllo delle emozioni (amigdala, corteccia prefrontale, ecc.), il che spiegherebbe le azioni impulsive e non ben pianificate.
I livelli di arousal (cioè di attivazione psicofisiologica) di questi bambini sono di norma più bassi (ad es. hanno bassi livelli di conduttanza cutanea e di frequenza cardiaca a riposo) e, conseguentemente, mostrano di provare meno paura, un’emozione fondamentale anche per mettere in moto alcune risposte inibitorie. Altre interessanti ricerche hanno identificato un deficit nell’elaborazione dell’informazione sociale: interazioni «ambigue» vengono interpretate come ostili e quindi implicano più facilmente una reazione aggressiva o vendicativa. In alcune ricerche, infine, è stato osservato che bambini con tratti di insensibilità e anaffettività (alcuni degli aspetti presenti nei soggetti con Disturbo della condotta) hanno difficoltà a percepire segnali di disagio nel volto altrui (paura, tristezza, dolore), ma non a percepire la rabbia, cosa che aumenterebbe in loro la percezione dell’ostilità altrui. Inoltre, questi stessi bambini sono risultati apprendere meno ad associare i propri comportamenti a ricompense o punizioni (a causa di disfunzioni all’amigdala e allo striato ventrale).
Bullismo e Disturbo della Condotta
Dal punto di vista affettivo ed educativo, si osserva spesso una scarsa “coscienza morale”, stili genitoriali ed educativi inadeguati. Il rifiuto da parte dei coetanei aumenta l’atteggiamento antisociale e l’affiliazione con altri «devianti». Questo aspetto diventa significativo perché costituisce una delle premesse più tipiche del bullismo. Il soggetto che si sente rifiutato dagli altri e che non ha consapevolezza che ciò dipende anche dal proprio comportamento (e non solo dalla non-comprensione altrui) si lega ad altri soggetti “marginalizzati” come lui, facendo gruppo, creando il branco. Le azioni intimidatorie e vessatorie che prima venivano poste in essere individualmente, ma che producevano anche più facili conseguenze sul singolo bullo isolato (ad es. rimproveri, sospensione da scuola, ecc.), vengono ora poste in essere in gruppo, cosa che dà forza, che dà identità, che può dare il senso dell’impunità.
Ma il bullismo non è l’unico pericolo in vista per un ragazzo con diagnosi di Disturbo della condotta. Infatti, questa diagnosi – che fa riferimento all’età evolutiva (non si applica cioè agli adulti) – ha una sua “naturale” evoluzione nell’età adulta, che prende il nome di Disturbo antisociale di personalità. Questo disturbo presenta – proporzionate con l’età – le medesime caratteristiche del disturbo della condotta (violazione delle regole o della legge, impulsività, scarsa pianificazione, tendenza a mentire, mancanza di empatia, scarso senso di responsabilità, ecc.).
Per diagnosticare questo disturbo nell’adulto, deve tuttavia essere presente in anamnesi proprio il Disturbo della condotta, a testimonianza della pervasività, inflessibilità e continuità nel tempo di questo pattern comportamentale.
Trattamenti
Per quanto riguarda i trattamenti, questi hanno di norma un forte taglio educativo e sono più efficaci se rivolti ai molteplici sistemi in cui è inserito il bambino (famiglia, coetanei, scuola, quartiere). Gli interventi in fase precoce dello sviluppo (anche se brevi) hanno un impatto positivo sullo sviluppo successivo, e si fondano sulla conoscenza, la valutazione e la consulenza sui bambini e sullo stile genitoriale.
Negli Stati Uniti sono diffusi alcuni percorsi terapeutici, come ad es. il trattamento breve Family Check-up, di soli tre incontri per genitori di bambini con meno di due anni, che riduce i comportamenti dirompenti. Un ulteriore percorso volto a modificare le condotte disfunzionali, con il coinvolgimento di molteplici figure professionali e servizi territoriali, è il Trattamento Multisistemico, un programma atto a fornire servizi terapeutici intensivi e globali a livello di comunità, focalizzando l’intervento sull’adolescente, la famiglia, la scuola e il gruppo dei pari. Questo percorso prevede una forte contestualizzazione dei problemi di condotta, interventi focalizzati sul presente e orientati all’azione ed il coinvolgimento concreto e costante dei familiari. La sua dimostrata efficacia è dovuta principalmente all’impiego di tecniche comportamentali, tecniche cognitive, terapia familiare e case management.
È infine molto noto e diffuso, anche nel nostro Paese, uno dei tipici trattamenti cognitivo-comportamentali, il Parent Management Training (noto anche come Parent Training), un training rivolto ai genitori per modificare le loro risposte nei confronti dei figli, allo scopo di rinforzare il comportamento prosociale anziché quello antisociale: questo percorso prevede l’impiego di tecniche comportamentali come il rinforzo positivo, il time-out, il costo della risposta, ecc., tutte metodiche di comprovata efficacia (evidence-based) per la concreta gestione di bambini e ragazzi “difficili”. Questo trattamento si è dimostrato l’intervento più efficace sui bambini con disturbo della condotta o con disturbo oppositivo-provocatorio.
Articolo scritto da
Emilio Franceschina – Psicologo e Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, Docente di Psicologia clinica presso l’Università degli Studi di Padova, Direttore Scientifico dell’Istituto Miller di Genova e Firenze, Docente e Supervisore AIAMC
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