Queste paure estreme, denominate rispettivamente emofobia (fobia del sangue) e belonefobia (fobia degli aghi) si manifestano con un disagio significativo nei confronti di due stimoli: il sangue e gli aghi.
Le persone possono sperimentare emozioni di disgusto, ansia e persino attacchi di panico di fronte all’esposizione diretta o al pensiero anticipatorio del sangue.
Tali situazioni (esposizione ad aghi, siringhe, procedure mediche) vengono evitate o tollerate con intensa difficoltà. Queste fobie generalmente risultano maggiormente presenti durante l’infanzia, con l’età adulta possono ridursi.
Le persone che soffrono di fobia specifica nei confronti del sangue/ferite/iniezioni faticano spesso a richiedere assistenza medica anche quando si verificano problemi di salute.
Che differenza c’è tra fobia specifica e paura?
Si parla di fobia specifica (emofobia) quando la persona tende a sovrastimare il pericolo rappresentato dal sangue o da eventuali punture o prelievi, sperimentando il vissuto emotivo con maggiore intensità.
Le persone con tale fobia specifica manifestano malessere e soprattutto evitano le situazioni temute in maniera persistente e per lunghi periodi di tempo.
La paura invece, è un’emozione adattativa, che viene vissuta con minore enfasi, può essere transitoria e non interferisce in maniera significativa sulla qualità di vita dell’individuo.
Come può presentarsi?
Alcune persone, alla vista del sangue, possono presentare una sindrome vasovagale ovvero una vasodilatazione periferica generata da un’intensa attivazione emotiva: il sangue tende a fluire verso gli arti mentre si riduce il flusso sanguigno diretto al cervello con conseguente perdita dei sensi.
Nel caso di una sindrome vagale, prima dell’effettivo svenimento, è possibile notare i seguenti sintomi: viso pallido, debolezza, nausea, vertigini, tachicardia e vista alterata. In tal caso si aiuta la persona a riconoscere i sintomi iniziali del malessere ed a gestirli mediante una psicoterapia ad orientamento cognitivo comportamentale.
Perché si presenta?
Non si conosce l’esatta origine di tali fobie che tendono ad emergere prima dei 10 anni di vita, tuttavia sono state ipotizzate diverse teorie:
- Aver vissuto un evento traumatico in maniera diretta o indiretta riguardante sangue/aghi ecc. e aver sperimentato per questo intensa ansia o panico.
- Come conseguenza di un attacco di panico inaspettato che si è presentato durante un prelievo o alla vista del sangue.
I fattori di rischio per l’insorgenza dell’emofobia possono essere molteplici:
- Fattori temperamentali tra cui tratti ansiosi di base.
- Fattori ambientali come uno stile educativo genitoriale iper-protettivo, lutti o separazioni, esperienze traumatiche legate al sangue.
- Fattori genetici: le persone con un parente che presenta una fobia specifica ha più probabilità di sviluppare la medesima fobia. Gli individui affetti da emofobia inoltre sono maggiormente predisposti a manifestare svenimenti di fronte a stimoli come sangue/ferite/iniezioni.
Come si cura?
All’interno del panorama scientifico attuale la psicoterapia cognitivo comportamentale viene considerata l’intervento più efficace per la cura della fobie specifiche.
Le tecniche principalmente impiegate possono essere:
- Esposizione graduata: la persona affronta una lista di stimoli (sangue, ferite e aghi) reali o in immaginazione, dal meno difficoltoso al più difficoltoso, una volta gestito e non sperimentato più il disagio emerso rispetto ad una situazione fobica l’individuo viene invitato ad affrontare lo stimolo successivo sino a riuscire a non provare più ansia legata al sangue.
- Desensibilizzazione sistematica: consiste nella medesima procedura sopracitata, dopo aver affrontato uno stimolo fobico graduale la persona viene invitata a mettere in pratica una tecnica di rilassamento volta a gestire il disagio e dopodiché affronta lo stimolo successivo.
- Implosione o flooding: la persona viene invitata a sperimentare, a livello immaginativo o reale, la situazione che più teme e per il maggior tempo possibile, allo scopo di farle affrontare il disagio. Generalmente l’ansia, dopo aver raggiunto un picco, si ridimensiona o in certi casi sparisce completamente.
Articolo scritto da:
Giampaolo Perna
E’ medico, psichiatra con oltre 25 anni di esperienza nella diagnosi e nel trattamento dei disturbi mentali, in particolare nei disturbi d’ansia. E’ il presidente del comitato scientifico, membro del consiglio direttivo e docente AIAMC. E’il Professore Straordinario di Psichiatria dell’Humanitas University e insegna presso le Università di Miami (USA) e Maastricht (Olanda). Ha pubblicato oltre 160 articoli su riviste internazionali recensite nel JCR. E’ il Direttore del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche presso Villa San Benedetto Menni – Suore Ospedaliere ad Albese con Cassano (Como) e il Responsabile del Centro di Medicina Personalizzata per i Disturbi d’Ansia e di Panico presso Humanitas SanPio X, dopo aver accumulato oltre 20 anni di esperienza presso L’Ospedale San Raffaele a Milano. Maggiori informazioni su www.giampaoloperna.com
Camilla Giunco
E’ psicologa, psicoterapeuta ad indirizzo comportamentale e cognitivo specializzata presso la Scuola di Formazione in Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva (ASIPSE), socio ordinario AIAMC. E’ consulente presso il centro per i disturbi ansioso-fobico ossessivi del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche di Villa San Benedetto Menni. e presso il Centro di Medicina Personalizzata per i Disturbi d’Ansia e di Panico presso Humanitas SanPio X