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CERCA PSICOTERAPEUTA

La Resilienza

Oggi si chiama “resilienza”, una volta si chiamava “forza d ́animo”, Platone la nominava “tymoidés” e la sua sede per lui era nel cuore, notoriamente simbolo dei “sentimenti”

resilienza

I sentimenti possono essere tanti e non sono solo negativi come languore, malinconia, struggimento dell ́anima, abbandono, sono anche forza, determinazione, bontà, altruismo.
Quella forza d’animo e determinazione che conduce a prendere anche le decisioni, quelle che per Kirkegaard rappresentava, ben descritta nel suo “aut-aut”, la perdita (di quello che non si è scelto), quelle decisioni e a scelte che rappresentano il motore della vita umana, in quanto accompagnano il singolo individuo durante tutta la propria esistenza e lo mettono alla prova in ogni istante.
Ecco quindi che quando, dopo aver analizzato tutti i pro e i contro che le argomentazioni razionali offrono, si decide anche in modo poco razionale, si può fare paradossalmente una scelta vicina al proprio io e al nostro modo di essere e manifestarsi. Sono però guai grossi se, per convenienza o debolezza, si arriva ad una scelta che non è la nostra, si può correre il grave rischio di diventare stranieri nella propria vita.

La forza di volontà e d ́animo, che è poi la forza del sentimento, può difendere le persone dal senso di estraneità che si prova quando le scelte che ci troviamo a fare non sono in qualche modo “nostre”.
Al contrario, se la forza di volontà e la determinazione riescono a prendere il sopravvento e le convenzioni sociali e l’opportunismo, che molto spesso esse richiedono, vengono messi in secondo piano, come un mantello che si veste ma che siamo anche in grado di lasciare andare, quando le convenzioni confliggono con le nostre idee, la nostra forza d’animo, come sosteneva Maslow, e se riusciamo a fare questo allora la sensazione che tutto ciò produrrà sarà quella di farci davvero fare sentire a casa, la nostra.
E questa è la salute psicofisica.
È come se si attuasse una sorta di incontro con noi stessi, con le varie parti di noi, tanto più numerose quanto più la nostra personalità sarà poliedrica.

Se riusciremo in questo, potremo evitare quella sensazione di estraneità che quella data situazione, luogo, gruppo di persone o persona ci fanno sentire come se quella non “sia una cosa nostra”.
Può accadere che a volte ci troviamo in situazioni che non ci appartengono e che in qualche modo ci sentiamo obbligati a vivere perché altri, da cui pensiamo dipenda la nostra vita, semplicemente ce lo chiedono in qualche modo, e noi ci ritroviamo troppo spesso a non sapere dire di no, che questi siano figli, genitori, fratelli o sorelle, amanti, amici, compagni o coniugi, per non parlare del boss, il datore di lavoro, o il partito, la associazione laica o religiosa o quant’altro.

Il bisogno di essere accettati e il desiderio di essere amati, fanno sì che a volte si percorrano strade che il nostro sentimento ci fa chiaramente avvertire come non nostre.
Può così succedere che la forza d’animo si indebolisca e la persona si ripieghi su se stessa nel tentativo, spesso senza speranza e senza fine, di compiacere agli altri.
Quella che per da Shaffee e Shaffee è la “depressione segnale”, che è assai importante da cogliere perché altrimenti il rischio serio è che la persona si ammali e non solo psicologicamente perché la malattia di per sé è la devianza da quello che per Galimberti è il sentiero sano della vita e coinvolge tutto il sé, l’organismo intero.

Come diventare Resilienti

Ma come si fa ad essere se stessi?
Non è davvero così facile. Per cercare di essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte anche i nostri difetti, le mancanze, le fragilità, quella che sempre Galimberti, chiama la nostra ombra. Che è poi ciò che di noi stessi spesso rifiutiamo di accettare, i nostri difetti, quello che non siamo riusciti ad essere o diventare, le ambizioni non appagate e così via. Quella parte oscura che, quando qualcuno ce la sfiora, provoca la sensazione di essere stati “punti nel vivo”.
Ma anche la parte in ombra di noi è viva ed è sempre presente e deve essere accolta considerata, presa in esame.

Lo stesso Freud parlava della nevrosi come mancata accettazione di sé e descriveva la prima fase della terapia psicanalitica come presa d’atto e coscienza delle situazioni connesse con le parti più problematiche di sè, condizione a sua detta necessaria ma non sufficiente per risolvere le nevrosi.
Se accolta, la parte d´ombra di noi però perde gran parte della sua forza negativa e i difetti accettati non sono più così pericolosi. Cessa o rallenta la guerra tra noi e noi stessi. Siamo in grado di dirci: “Ebbene sì, sono anche questo”.
Ed è così che questa nuova consapevolezza può darci la forza d´animo e la capacità di guardare in faccia i vari problemi e la sofferenza senza, spesso illusorie, vie di fuga o tendenze a dare la colpa agli altri o alla sfortuna o al caso, se non riusciamo ad essere sereni e soddisfatti come vorremmo. “Tutto quello che non mi fa morire, mi rende più forte”, scriveva Nietzsche.
Quindi, è necessario attraversare e non evitare anche quelle metaforiche terre seminate di sacrificio, fatica e dolore per arrivare a fare tesoro anche delle nostre esperienze negative per poi potere meglio affrontare in futuro la vita anche con i suoi problemi, in termini contemporanei, essere resilienti.

Uno dei modelli contemporanei che persegue, all’interno di una cornice scientificamente valida come quella della psicoterapia cognitivo comportamentale (CBT), l’essere pienamente in contatto con il momento presente, e, sulla base di ciò che la situazione permette, cambiare o persistere in taluni comportamenti, è quello proposto e attuato anche in clinica dalla ACT, a suo tempo proposta da Hayes con il concetto della “psicologia della normalità” presente nel suo libro forse più famoso: “la mente liberata”. L’acronimo ACT, sta per Acceptance and Commitment Therapy.

Si tratta del cosiddetto approccio terapeutico di terza generazione della CBT, una forma di psicoterapia cognitivo-comportamentale sviluppatasi all’interno della Relational Frame Theory e analisi funzionale del comportamento e della Contextual Behavioral Science/Functional Contextualism. L’obiettivo è quello di ottenere sia a livello fisiologico (non amo i termini “normale” e “normalità” che patologico, un buon livello di flessibilità psicologica, fortemente influenzata da sei processi interdipendenti:
PF= f (a, d, sc, pm, v, c)
dove la flessibilità psicologica (psychological flexibility, PF) è funzione dell’accettazione (acceptance, a), della defusione cognitiva (defusion, d), del sé come contesto (self-as-context, sc), del contatto con il momento presente (present moment, pm), dei valori di riferimento (values, v) e impegno (commitment, c).

Componenti che non vengono viste qui come addendi di un’operazione aritmetica ma come campi relativamente indipendenti ma connessi a vari livelli a seconda delle caratteristiche della persona. Qui naturalmente entra in gioco la storia personale, il modo con cui un individuo interpreta e da significato alla realtà le influenze genetiche e epigenetiche, personalità e carattere e così via.
Il lavoro dell’esperto, in questo caso dello psicoterapeuta contemporaneo, sarà perciò quello di dare un senso a tutte queste componenti per cercare di ricomporre questa sorta di puzzle rappresentato dalle caratteristiche e dalla storia dell’individuo in modo da far sì che siano impiegate nel miglior modo per lui. Ricordando sempre che non esiste il pret a porter terapeutico ma l’arte del terapeuta per fare in modo di tessere insieme il miglior vestito-mantello di fine sartoria per il paziente e fargli apprendere le modalità per potere scegliere poi il vestito-mantello più idoneo e imparare poi anche a toglierselo di dosso al momento opportuno.
Tutto questo per fare sì che la persona apprenda a cogliere al meglio le caratteristiche per lui migliori della vita riuscendo anche a districarsi in quelle situazioni negative che gioco forza incontrerà, ovvero sviluppare e perfezionare la resilienza.

Autore Articolo

Psicoterapeuta Carlo Pruneti

Docente di Psicologia Clinica e Psicopatologia Generale, Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Responsabile dei laboratori di Psicologia Clinica, Psicofisiologia Clinica e Neuropsicologia Clinica Università di Parma

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